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i difensori delle alpi 335

catena nei passi pericolosi, con la neve fino all’anche, stretti per mano gli uni agli altri, o legati con le corde alla cintura; o camminar brancicando nella tormenta, col berretto calato sugli occhi, col fazzoletto annodato intorno al capo, col bastone in pugno e le crapette ai piedi avvolti e accecati dal nevischio; o correre di notte per la montagna, come un branco di pazzi, in mezzo ai tuoni e ai baleni, dietro alle tende portate via dall’uragano. Bisogna vederli quando precipita un loro compagno non si sa dove, e occorrendo quattro arditi per andarlo a prendere, venti buttan via il cappello e la daga, e sono già sotto a rischiar la pelle, che gli ufficiali gridano ancora: — Prudenza! — Là si vedon gli Alpini! — E come se avesse inteso quelle parole, la folla salutò l’ultimo plotone di Val di Pesio con uno scoppio tonante di evviva, che parve l’urrà d’un assalto.


Un’altra penna di colonnello biancheggiò in fondo alla piazza, e vennero innanzi le nappine bianche del battaglione Col di Tenda, i giovani nati tra le foreste brune e le forre cupe delle due alte valli, in cui scrosciano il Gesso e la Vermenagna; i grossi Limontini dalle facce color di giuncata e di sangue, i fratelli delle Tendesi robuste che portano come un diadema intorno al capo biondo il nastro di velluto nero, e i pastori del vasto altopiano di Vallasco, tempestato di fiori azzurri e bianchi, e delle montagne di Valdieri; molti dei quali, giovinetti, incontrarono mille volte per le loro erte viottole Vittorio Emanuele solitario, vestito da alpi-