e dai palchi venne giù un diluvio di fiori. Tutti quei soldati alti, forti, e la più parte biondi, con quei cappelli alla calabrese, con quelle penne ritte, con quelle mostre verdi, d’un aspetto poderoso a un tempo e leggiero, e quasi arieggianti un’altra razza, e pure così italiani negli occhi, destarono un primo senso vivissimo di maraviglia e di simpatia. E anche l’applauso fu più caldo perchè era un battaglione singolare, composto di piemontesi e di liguri, levati in quel triangolo delle antiche Provincie, che poggia a Oneglia e a Savona, e tocca col vertice Mondovì: figli della montagna e giovani della marina, dai visi bianchi e dai visi bruni, diversissimi d’occhi, di lineamenti, di capelli. La folla acclamò alla rinfusa i paesi delle due parti delle Alpi: — Viva Garessio, viva Albenga, Bagnasco, Finalborgo, Pamparato, Diano! — E a tutti balenò alla mente, come visto per uno squarcio della catena, un declivio grigio d’olivi, e il villaggio bianco, circondato d’orti e di boschetti d’aranci, spiccanti sul mare azzurro, picchiettato di vele. Sfilavano in una maniera ammirabile. E nel voltarsi tutti a sinistra, di tratto in tratto, per correggere l’allineamento, mostravan le teste ben costrutte, i colli taurini, le guance vivamente colorite. La signora Penrith, piena di benevolenza protettrice per l’Italia, prorompeva in esclamazioni ammirative, dicendo che non avrebbero sfigurato accanto alle guardie della regina Vittoria. Il Rogelli non toccava più terra, pareva che li avesse impastati e modellati lui tutti quanti. E sclamava: — Guardi che casse forti di toraci! — Veda che travatura di corpi! —