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20 | alle porte d’italia |
quelle finestre misteriose, m’era parso di sentire un bisbiglio di voci lamentevoli, come una preghiera di anime in pena, e una sera, affacciandomi al terrazzo d’una villa vicina, avevo visto giù nel giardino oscuro del palazzo una bella monaca che fuggiva come uno spettro in mezzo alle piante: — l’immagine d’un quadretto del Boccaccio. Ce n’era più del bisogno per eccitare la curiosità di qualunque più ostinato odiatore di rovine illustri.
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Sarebbe stato ingiustizia, peraltro, se quella curiosità non fosse nata anche in parte da un sentimento di simpatia per i Principi d’Acaja. Dico simpatia, non entusiasmo. Grandi non furono, nè forse potevano essere. La parte principale, in quel fortunato lavorìo diplomatico e guerresco della casa di Savoia, toccava naturalmente ai Conti, loro signori, più forti d’armi e piantati in domini assai più sicuri che non le terre dei principi. Tolto anche il conte Verde e il conte Rosso, che vissero al tempo loro, sarebbe bastata ad oscurar gli Acaja la gloria di Amedeo il Grande che li precedette e la fama d’Amedeo VIII che li seguì. Ma non furono indegni d’ammirazione. Accampati sopra un territorio di dubbie frontiere, circondato da Comuni turbolenti e da Signori il cui unico pensiero era la conquista; posti in una condizione, rispetto ai Conti savoiardi, la quale, se li assicurava d’un valido sostegno nei grandi cimenti, vin-