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la rocca di cavour 317

bastanza importante perchè... lei scrive, e se dà un giudizio... non ponderato, mi perdoni, potrebbe anche far del danno all’esportazione. Mi faccia il favore di provare, rifletta, e poi dia un giudizio spassionato. — Allora mi feci serio anch’io, e cominciai a bere alternatamente un bicchiere di qui e un bicchiere di là, sotto gli sguardi fissi e interrogativi dei due commensali. Ma come fare a dar un giudizio? Ero incerto davvero. Dentro di me davo sempre la palma all’ultimo. Mi trovavo come un giudice fra due litiganti egualmente arguti e facondi, che prova un gusto matto a sentirli, e li fa ripigliar daccapo cento volte, fingendo di non aver capito. Eran due vini superbi, qualche cosa che abbracciava lo stomaco, e andava giù, come dice il portinaio dell’Assommoir, fino alle caviglie, accomodando per via tutti gli affari dell’anima e del corpo. Finalmente, a un certo punto, decisi... di decidere. Ma era troppo tardi. Gli elementi del giudizio s’eran già confusi. I due litiganti dicevano le loro ragioni dentro parlando tutti e due insieme, in maniera che non raccapezzavo più nulla. — Ma insomma, — domandò l’agronomo, incrociando le braccia sulla tavola; — che cosa scriverà? — E non ci sarebbe stato più scampo, se, per fortuna, i miei due commensali non avessero fatto anch’essi una serie interminabile d’assaggi, con lo scopo di confermarsi sempre più nel loro parere; per il che non mi fu difficile di stornare garbatamente il discorso. E lo stornai così bene che cominciò a saltare di qua e di là a rompicollo, dalle ultime elezioni comunali alla maschera di ferro, e dal-