Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
304 | alle porte d’italia |
più guardar lì sotto quella bella campagna, così uniforme e così varia insieme, tagliata in quadrati verdi e lisci, come panni tesi di scrivanie, in trapezi di terreno lavorato, d’un colore delicatissimo di caffè e latte, rigati di file grigie di salici; in losanghe d’un rosso chiaro, spallierate di siepi nere, contornati di filari d’alberello d’un giallo cromo; in triangoli bianchi di calce, terminati a un vertice dal vermiglio acceso della vite d’un capanno. E al veder tutta quella terra così accuratamente misurata, spartita e difesa, pensavo di quante riflessioni e di quanti conti era argomento ciascuna di quelle piccole figure geometriche, quanta carta bollata avevano fatto imbrattare, quante chiacchiere di avvocati e di procuratori avevan provocato quelle redole e quei rigagnoli, e quanti viaggi tristi alla città, e aspettazioni eterne nelle anticamere dei tribunali, e inimicizie di famiglia, e giuramenti di vendetta, e crepacuori, e partenze disperate per paesi lontani. E allora mi parve che tutti quei poligoni coloriti, così tranquilli e sorridenti poco avanti, si premessero coi lati, e cercassero di ferirsi con gli angoli acuti, e di spaccarsi a vicenda, e di sovrapporsi gli uni agli altri, e di travolgersi, come grandi zattere variopinte di due flotte nemiche e confuse. E pensai ch’era così infatti, e che la battaglia durava da secoli, e che sarebbe forse finita un giorno con qualche gran sottosopra, in mezzo agli urli d’innumerevoli naufraghi; per ricominciar poi più accanita e durare più lungo tempo, appena si fossero riformati gli equipaggi e riparate le flotte.