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la rocca di cavour 293

la folla: delle colonne, Dio li benedica, da disgradarne il Biancone di piazza della Signoria. Poi i cappelli delle contadine, curiosissimi: dei cappelli di paglia gialla, di tesa molto larga, foderati di stoffa di sotto, fasciati di sopra di larghi nastri di seta o di velluto ricascanti fin sulla schiena, coperti d’un velo di tulle nero, frangiati di conterie, ornati di penne, di rose, di mazzi di fiori finti, di catenelle d’ottone, di fermagli della forma di chiavi o di spade: dei veri botteghini da merciaio, con le più bizzarre stonature di colori che si possano immaginare. Molte avevan delle collane dorate a varii giri, dei grossi orecchini da madonna, e dei fazzoletti da collo gialli o scarlatti. C’eran dei bei pezzi di donne e dei bei fusti di ragazze, con dei colori di mela appiola, coi capelli d’un biondo di spiga, serrati sulle forti nuche come nodi di corda; larghe di spalle e di fianchi, tutt’altro che piallate, piantate diritte e salde in terra come pilastri, e così strette le une alle altre, che per passare bisognava strofinarsi alle gonnelle e ai grembiali e si sentivan da tutte le parti delle rotondità resistenti e dei fiati caldi. Era davvero un mercato di contadini piemontesi. Fuor che gli strilli dei merciaiuoli dei baracconi, non si udiva una voce più alta dell’altra: nessun dialogo concitato, nessun gesto impetuoso, nessun viso acceso; una placidità di aspetti straordinaria, le mani quasi immobili, dei sorrisi quieti, un girar lento del capo e degli occhi, un contrattare a parole riposate e sommesse. Mi pareva che tutte quelle donne non fossero mai state agitate da una passione