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ch’ella trovò qui, una cugina, la marchesa Bianca di San Germano, che era rimasta vedova a vent’anni, essendo dama d’onore di sua maestà la regina Polissena, e che aveva preso il velo per fuggire ai pericoli del mondo. Era una creatura tutta soavità e amor di Dio, e la marchesa prese ad amarla come una figliuola....

— Ma nessuno mi lesse nell’anima, — riprese a dire la marchesa; — la vedova di Vittorio Amedeo non mancò alla dignità del suo nome; con uno sforzo supremo dell’orgoglio io tenni nascosti i miei avvilimenti e le mie angosce. Nessuna di quelle buone suore, che mi guardavan nei primi giorni con un sentimento quasi di pietà inquieta e di aspettazione paurosa, nessuna vide mai sul mio viso un’ombra di rammarico o di sgomento. Io sarei morta di crepacuore senza tradirmi. Dio m’aveva dato una forza immensa di soffrire. E poi.... i mesi succedettero ai mesi, gli anni agli anni.... Il mio cuore si quetò, il mio spirito si staccò a poco a poco dal mondo. Mi parve che intorno a me si facesse un grande silenzio. Centinaia e migliaia di quei giorni sempre eguali, interrotti sempre a quell’ore dal suono della tabella, dal bisbiglio delle preghiere e dal campanello del parlatorio, mi si confondono ora alla memoria in un solo giorno interminabile, d’una luce pallida, durante il quale non sono ben certa d’aver vissuto o sognato. Molte e molte suore passarono, che rivedo in confuso: dei visi ridenti, dei visi desolati, dei visi di sante e di martiri, delle vecchie e delle giovinette, e mi ricordo vagamente di lunghe agonie, di morti