ripigliò la marchesa con un sorriso amaro. — Rassegnazione! La tortura, l’inferno fu, nei primi tempi. Il mio cuore faceva sangue per cento ferite.... Dei miei figliuoli avrei avuto bisogno! E mi segregaron dal mondo. Sì, io ci speravo nella rassegnazione. Ma non credevo che avrebbe tanto tardato a giungere. Io non so. Una cosa strana, impreveduta, seguì dentro di me, quando mi trovai reclusa, scemata appena la grande angoscia di Moncalieri. La mia immaginazione, sovreccitata dalla solitudine, passava sopra alle ultime sventure, e ai due anni di Chambéry, e mi riportava sempre, mio malgrado, ai più begli anni della mia vita, alle più dolci ebbrezze della mia ambizione, e quasi me ne ravvivava il senso, e mi faceva sognare a occhi aperti, e mi tormentava, e mi metteva la febbre. Io non capivo il perchè. Era una pazzia. Ne ero impaurita. Mi ritrovavo in mezzo alle feste della Corte, disgraziata! rivivevo nei grandi castelli e nei parchi, rivedevo i tornei, le cavalcate, le cacce, mille visi, mille larve d’oro, che mi facevan guardare, toccare le pareti della mia cella con un profondo stupore, a cui seguiva uno sgomento mortale. E una forza nuova si ridestava in me, il grido ostinato di una gioventù che non voleva morire, un ritorno impetuoso dell’antico orgoglio, un’eco, un nuovo soffio inaspettato di tutte le passioni che io aveva creduto morte per sempre. Volevo dimenticare, pregare, assopirmi nella mia tristezza, annichilirmi fra queste quattro mura dove mi avevano calata come una morta; e sognavo, invece, vivevo potentemente, e soffrivo con tutto