avrebbe voluto regnar da capo dopo sei mesi; dimenticarono d’averlo supplicato piangendo di desistere dal suo proposito, perchè appunto presentivano quello che sarebbe accaduto; come lo supplicò il suo stesso figliuolo, turbato da un eguale presentimento. Ma che dimenticarono! Come potevano non ricordarsi che, nei primi mesi dopo l’abdicazione, Vittorio Amedeo aveva continuato a regnare, che non si faceva nulla a Torino senza il consenso di Chambéry, che si diceva che c’eran due Re, che tutto, tutto faceva presentire quasi inevitabile e di giorno in giorno più certo quello che da principio s’era solamente temuto? Io ho spinto Vittorio Amedeo! Ma non sapevan dunque più com’era nata e cresciuta l’acrimonia del padre contro il figliuolo, prima perchè avevan cessato di mandargli il bollettino delle notizie, poi, per la legge delle catastazioni in cui non avevano fatto a modo suo, poi per la questione di Roma in cui non avevan chiesto il suo parere? Non avevan lette le sue lettere sempre più concise, sprezzanti, irritate, minacciose? Non sapevan dal conte Petiti, che ci veniva in casa in aspetto d’amico, tutti i discorsi che egli faceva, furiosi contro Carlo Emanuele? Aveva mai potuto riferire una mia parola detta a mal fine, il signor conte? E c’era forse bisogno che la dicessi? E il peggior rimprovero che mi abbia fatto Vittorio Amedeo, in que’ suoi ultimi tristi giorni di Moncalieri, non è forse stato di non essermi opposta al suo disegno, di aver semplicemente taciuto in quella malaugurata notte del Moncenisio, quando egli mi domandò se doveva pro-