Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
le termopili valdesi | 245 |
del lavoro sulle spalle o con la calza tra mano, quasi senza guardarsi, come persone d’una sola famiglia che girassero per la casa; e dal viso di tutti, e dai loro movimenti s’indovinava la quiete infinita della loro esistenza. Essi vivon là, infatti, come il presidio d’una fortezza solitaria, non visitata che da pochi curiosi, che ci si trattengono un’ora, in una sola stagione dell’anno. Pochi vanno qualche volta a Torre Pellice; pochissimi, più di rado, fino alla grande città di Pinerolo; e si contan certamente sullo dita quelli che sono arrivati fino alla lontana e immensa Torino. Una cresciuta del torrente, la caduta d’una valanga, un matrimonio, una morte, sono i grandi avvenimenti di cui discorrono per mesi, intorno al lumicini fumosi che rischiarano le loro lunghe veglie invernali. Delle più grandi cose che accadono fuori della loro valle, a loro non arriva che un rumor fioco e confuso, come d’un lontano mare agitato. Il socialismo trionfante potrà sconvolgere il mondo: essi appena se n’accorgeranno. Dalla casa al tempio, dal torrente al pascolo, dall’orto al castagneto, tutti i giorni fanno i medesimi passi, volgendo in mente le medesime idee, dicendosi, quando s’incontrano, le medesime parole. I loro bisogni non sono che un po’ di pane, un po’ di fuoco e il sermone del pastore. Quand’hanno avuto questo per sessant’anni, muoiono senza lagnarsi della vita. E dire ch’è per aver questo, non altro, che hanno lottato, sanguinato e pianto per quattrocent’anni!