rivavano dopo un viaggio di mesi e mesi, travestiti stranamente, e trasfigurati dagli stenti, i pochi scampati alle stragi di Calabria; ci arrivavano, scortati dai Valdesi, tremanti di freddo e di paura, delle donne e delle ragazze cattoliche, affidate loro dai mariti e dai padri per salvarle dalle violenze della soldatesca; e dei parlamentarii pallidi e scorati, che annunciavano ogni accordo fallito, e un nuovo assalto imminente. Ma c’eran pure dei giorni di festa in quel vasto baratro pieno di dolore e di spavento; i giorni in cui scendevano dalle alte montagne i deputati valdesi, reduci dalle lunghe peregrinazioni a traverso all’Europa, portando i denari dell’Elettore Palatino, del duca di Würtemberg, del marchese di Baden, dei cantoni evangelici di Svizzera, della chiesa francese di Strasburgo, di tutti i loro amici lontani, che mandavan l’annunzio di potenti intercessioni presso la Corte di Torino, e la speranza d’un migliore avvenire: i giorni in cui tornavano i loro missionarii dai paesi protestanti, con un carico prezioso di libri sacri, trovati dopo lunghe ricerche e raccolti a prezzo di gravi sacrifizi; i giorni in cui giungevano i loro fratelli di Provenza, con le armi nascoste sotto il mantello, i soldati ugonotti, disertati dalle guarnigioni di Lione, di Grenoble e di Valenza, i rudi compagni dei Lesdiguières e dei Coligny, accorsi per combattere e per morire con loro. Allora tutti ripigliavano animo, i salmi risonavano più alto, i piccoli arsenali lavoravano più fitto, le promesse e i giuramenti si ripetevano con nuovo ardore; e le compagnie armate si slanciavano
De Amicis. Alle Porte d'Italia. |
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