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le termopili valdesi 233

schiacciavano, stritolavano ogni cosa, e andavano a battere in fondo alla valle, imbrattati di sangue e di visceri, come gigantesche mazze da macello, scaraventate giù dalle cime. Anche tornavan tutti in vantaggio dei Valdesi i cambiamenti improvvisi del tempo. Una colonna d’assalto si trovava in pochi momenti ravvolta da una nebbia densissima, come da una immensa nuvola di fumo portata dal vento: i soldati non vedevano più nulla, gli ordini si scomponevano, tutti andavano e venivano, urtandosi, chiamandosi, cercando inutilmente la via del ritorno; un tamburo o un corno valdese che suonasse allora, metteva lo sgomento in tutta la colonna; sentivano nemici da ogni parte, si credevan circondati, si ammazzavan fra loro, si sbandavano in tutte le direzioni, come un armento in mezzo a cui piombi una saetta. Più d’una volta, pure, sbagliato il cammino, combattendo in ritirata, incalzati da due parti, si trovavano serrati, agglomerati in un luogo basso, sotto il fuoco dei Valdesi riparati dietro alle roccie, agli alberi e alle capanne soprastanti, di dove non un colpo andava in fallo, e non riuscivano a salvarsi che coprendo la via della fuga di cadaveri e di feriti, e lasciando un branco di prigionieri in ogni stretta. Altre volte, finalmente, spossati dalle lunghe marcie e dalle salite affannose, disperati di vincere, sgomenti di quel nemico infaticabile e invisibile che li minacciava da ogni parte, che turbinava continuamente sopra di loro come un esercito alato, che li decimava con mille armi e con mille arti im-