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228 | le termopili valdesi |
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Là ci soffermammo un po’ di tempo, distesi all’ombra d’una roccia, a ragionare delle battaglie strane e tremende che s’eran combattute su quelle due rive, e su tutti i monti, che ci si drizzavano intorno. In che maniera un pugno di montanari aveva potuto trionfare di tanti eserciti? Come si difendevano? Com’erano assaliti? Le storie parziali e le memorie di quei tempi ci danno dei particolari concisi e sparsi, ma sufficienti a chi voglia rappresentarsi al vivo quei combattimenti. Gli eserciti cattolici, le prime volte, andavano a combattere di buon animo, fidando nella superiorità del numero, delle armi, della disciplina e dei capi; non potendo credere che i rovesci toccati dai loro predecessori avessero avuto altra cagione che qualche errore di tattica, commesso per trascuranza. Ed erano anche inanimiti dalla fede di far opera santa sterminando dei cani d’eretici, e dal veder che i Valdesi, abborrenti ancora dal sangue, per devozione al loro antico principio della inviolabilità della vita umana, fuggivano fin che potevano davanti a loro, per non dover combattere che agli estremi; ciò che, naturalmente, era considerato effetto di paura. Entravano dunque nella valle cantando, con la certezza d’andar a segnare sulle rocce di Pra del Torno l’ultimo giorno dell’eresia. Ma il disinganno non tardava a sopraggiungere. Era impossibile, innanzi tutto, che gente della