per servir di tinozze da bagno a dei giganti. Ciascuna ha un nome proprio, parecchie hanno una leggenda. Una delle più profonde, chiamata tompi Saquet, è storica, per esservisi annegato, precipitando da una roccia, un tal Saquet di Polonghera, ch’era uno del capi dell’esercito del De Capitaneis, nel 1488, e che poco prima di morire, combattendo lì presso contro gli Angrognini, aveva giurato di mettere in pezzi quanti gli fossero caduti nelle mani. Dopo trecentonovantaquattr’anni il tompi conserva ancora il nome del suo morto, e lo conserverà, come dicono poeticamente in quelle valli, fin che un padre valdese percorrerà quella strada accompagnato dal suo figliuolo. La strada, via via che la valle si serra, si va mutando in un sentiero, il quale striscia ai piedi delle Rocciaglie, quasi paurosamente, minacciato dai macigni da un lato, e dalle acque del torrente dall’altro. L’aspetto delle Rocciaglie, in quel punto, è veramente maestoso e terribile. Dei massi, enormi, in cui si potrebbero scavar delle case, s’avanzano fin sulla sponda, intercettando quasi il cammino; alcuni staccati, franati dalle alture; altri incastrati nei fianchi del monte, simili a mostri smisurati che sporgan fuori la testa deforme; altri inclinati come torrioni che minaccin rovina, sospesi quasi sopra il sentiero, da potervisi riparar sotto venti persone, così male intenzionati, all’aspetto, che, passandovi sotto, vien voglia dire: — Un momento, di grazia! — In alcuni punti ci son dei vasti ammontamenti di macigni, che paiono rottami di palazzi giganteschi, buttati giù dal terremoto. Il letto