Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/234

220 le termopili valdesi

arrestarsi appena entrata, stupefatta, inchiodata alle rocce da un terrore misterioso. Chi mai ci potrà esser là dentro, pensavo, fuorchè dei lupi e degli orsi, o una specie di popolo d’Oga Magoga, separato dal mondo?



Dall’altura delle Serre la strada comincia a scendere, ma sempre in mezzo ai castagni, ai noci, a ogni sorta di alberi montani, che gettano le loro grandi ombre sopra dei vasti tappeti di velluto verde, stelleggiati di freddoline. Via via che scendevamo, la voce del torrente ingrossava, come la voce d’una folla irritata che salisse verso di noi. Ci andavamo avvicinando al punto più stretto della valle, a quel luogo tremendo e memorabile, che si può chiamare le “Termopili dei Valdesi.„ Probabilmente la strada che percorrevamo era la medesima che avevano percorso quelle colonne degli eserciti cattolici, le quali tentavano di penetrare in Pra del Torno lungo il torrente, mentre le altre cercavano di calarvi dalle montagne; quella stessa strada, per la quale retrocedevano poi, disordinatamente, turbe di soldati senz’armi, aiutanti di campo bianchi di terrore, e generali che si mordevan le mani, vermigli dall’ira e dalla vergogna, bestemmiando tutte le più sacre cose in nome di cui erano andati a combattere. Poichè, per circa duecent’anni, quel maledetto Pra del Torno fu veramente la cittadella del diavolo per gli eserciti papisti.