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204 le termopili valdesi

quando l’intesi parlare con pronunzia quasi perfettamente toscana. Seppi poi che l’aveva presa nell’isola d’Elba, dove era stato nove anni, e a Firenze. C’è però nel collegio di Torre Pellice un bravo professore toscano, dal quale quasi tutti i maestri e le maestre valdesi piglian qualche cosa del parlar celeste; per il che non è raro di sentir toscaneggiare fra quelle montagne. Il signor Bonnet si offerse cortesemente di farci da guida, e ci trattenne per parecchi minuti sulla piazzetta a discutere il programma della giornata. Per tutto quel tempo, e per un buon tratto di strada quando ce n’andammo, c’intronò gli orecchi un canto altissimo, che usciva da una casetta chiusa, il canto d’un uomo che lavorava, e che cangiava arietta continuamente, senza interrompersi, saltando dallo stornello campagnuolo alla Traviata, dalla canzone militare al Rigoletto, con una vivacità, con una furia allegra, con una vigorìa di voce e di pronunzia, che pareva pagato per tener di buon umore il villaggio. — È più felice d’un milionario, — disse il Bonnet, sorridendo. — E il deputato soggiunse con ragione, che non si cantava più, nelle città, a quella maniera. Tutt’a un tratto tacque, e vedemmo il suo viso alla finestra, un viso beato; ma disparve subito, e intonò un coro dei Lombardi. Il pastore ci fece vedere il suo tempio piccolo e nudo, una specie di villino smobiliato, piuttosto che di casa di Dio. Ma è un tempio storico, il più antico della valle, fondato verso la metà del sedicesimo secolo, nel luogo dove solevano radunarsi i Valdesi, all’aria aperta, a deliberare e