cammina sull’orlo di precipizi rocciosi, sul ciglio di rive ripidissime, simili a grandi muraglie verdi leggermente inclinate, e tutte tempestate di freddoline, in mezzo a veri boschi di castagni giganteschi, che vengon su quasi dal fondo della valle, e s’innalzano ancora d’un grande tratto al di sopra della via e sul capo di chi passa, dentro a macchie di quercie, di noci, di roveri, di pioppi, e poi di nuovo tra castagni altissimi, fasciati di virgulti dal piede al nocchio, coi rami enormi allargati in mille forme strane, di braccia di candelabri giganteschi, di membra colossali agitate in atto disperato, o di mostruosi artigli distesi per afferrare una preda nel cielo. Tutto verde intenso, tutto forte, grande e austero, alberi, macchie, roccie, scoscendimenti, recessi. E l’ombra era così turchina, densa in quei grandi squarci dei monti, che, stando da una parte, non si vedevano quasi affatto i gruppi di case di pietra grigia, che eran dalla parte opposta, a pochi passi di distanza, addossati alla china; e i monti dell’altro lato della valle, visti da quel fondo nero illuminati dal sole e come inquadrati fra i due fianchi oscuri del vallone, davan l’idea d’un paese in cui regnasse un’altra stagione, parevano sfolgoranti d’oro, e abbagliavano. All’uscire da ciascun vallone, vedevamo, da una parte, l’alto della valle, che sembrava chiuso in maniera da non poter più far mezz’ora di cammino; e dall’altra, l’imboccatura, chiusa pure dalla gran mole azzurrina e violetta del Frioland, dalla punta della Rumella e dai monti lontani di Bagnolo, che fiancheggian la valle