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proprietario valdese, sulla quarantina, alto e poderoso come un dragone, e d’aspetto grave, ma d’umore lepido; uno di quegli uomini coi quali si piglia famigliarità fin dalle prime parole. — Badi, — mi dissero all’orecchio i due amici, scherzando; — questo è un Valdese chauvin. — E infatti, tra un sorso e l’altro, essendo caduto il discorso sulla storia valdese, io fui meravigliato della cognizione che n’aveva, non profonda, ma minutissima e precisa oltre ogni credere. È vero che non è difficile ai valdesi il conoscere la loro storia, a cagione della sua stretta unità, e del breve spazio che abbraccia. Ma quello faceva saltar sulle punte delle dita i pastori, i martiri, i sinodi, i combattimenti, le date soprattutto, come un cronologista di professione. Poichè era un chauvin, volli provare a stuzzicarlo un poco, ed egli s’accalorò, senza smettere lo scherzo, ma pure senza ridere mai, e dando alla discussione una forma curiosissima, come se si parlasse di fatti del giorno innanzi, ed io fossi ai suoi occhi il papismo incarnato. Io accennavo alla parte dei torti che avevan pure avuto i Valdesi, servendomi dello stesso suo modo di parlare. — Ma scusi, — gli dicevo, — lei mi saccheggia tutte le borgate della pianura, lei m’incendia i conventi, lei mi macella le pattuglie piemontesi colte alla sprovvista, lei mi passa ottocento irlandesi a fil di spada a San Secondo.... — Sta bene, — egli rispondeva, — ma quando, non avendo io fatto nulla ancora di tutto questo, lei mi svaligia la casa, m’ammazza i figliuoli, mi fa arrostire la moglie, apre la pancia ai