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un esercito accampato in val di Chisone. Con tutto questo, è vero, non si giustificano pienamente nè gli ultimi duchi nè i primi; poichè, se non altro, avrebbero potuto fare assai di più per render meno orribili le persecuzioni a cui furono in parte costretti. Ma è raro che un Valdese esprima risentitamente questo pensiero. Non era nella loro indole, — dicono, — non era nell’indole dei duchi quello spirito di persecuzione implacabile. La forza che trascinava alla crociata i grandi Stati cattolici, li travolgeva. La società onnipotente de propaganda fide li circuiva, li premeva, li aizzava, metteva loro la benda agli occhi e l’arma in pugno, li spingeva al sangue per disperazione. Dopo ogni persecuzione, infatti, sono come vinti dalla pietà, la generosità naturale del loro cuore ripiglia il di sopra, inclinano al perdono, accordano dei patti accettabili. Ma che vale? Il loro cattivo genio, il nemico dei Valdesi e di loro, che domina la nobiltà, la corte e la plebe, s’intromette, ristringe i patti, li nega, li viola, soffia nei rimasugli dell’incendio e fa divampare la fiamma. Senza dubbio, anche dalla parte dei Valdesi, sorsero qualche volta ostacoli alla pace e incentivi alla guerra. I loro predicatori non si restrinsero costantemente a difendere la causa propria, i ministri ugonotti venuti nelle valli fomentarono spesso la ribellione, predicando la costituzione d’una repubblica indipendente; e così gli uni che gli altri, con la propaganda del valdismo, seminarono la discordia religiosa nelle terre vicine, nè rispettarono sempre nei cattolici la libertà di culto