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la ginevra italiana 187

mare alquanto l’odiosità delle persecuzioni, o a spiegare almeno come le abbiano potute compiere, pure non essendo mostri di ferocia. Riguardo alla casa di Savoia, in particolar modo, mostrano una grande mitezza; la quale, per esser giusta, non è men generosa: pare che non ne ricordino che i benefizi. Rispetto ai primi duchi, lamentano l’ignoranza in cui eran tenuti, le favole calunniose con le quali venivano eccitati contro i Valdesi, dipinti a loro come gente depravata, selvaggia, impaziente d’ogni legge. Rispetto agli altri, sanno come fossero istigati, forzati alla violenza da Francia, da Spagna, da Roma; come anche i più severi di essi fossero rampognati, accusati di mollezza colpevole, specialmente dai Papi; come lo stesso Emanuele Filiberto, sotto il quale infuriò quel famigerato conte della Trinità, ripugnasse dalla guerra che il legato pontificio gli predicava necessaria con minacce e con rimproveri amari, e come manifestasse poi, con fiere parole, alla Corte di Roma la sua disapprovazione per il modo di procedere del Sant’Uffizio che “invece di punire, disperava„ e che era più atto “a distruggere, che a edificare.„ Ricordano con gratitudine l’ammirazione e la pietà di Filippo di Savoia. Non ignorano infine, che Vittorio Amedeo II resistette quanto potè alle istigazioni di Luigi XIV prima di rompere quella deplorabile guerra del 1686; che lo irritò con cento ripulse e con ogni sorta di scappatoie; che non cedette se non minacciato; che dovette cedere perchè il Re lo teneva sotto i piedi, per mezzo di Pinerolo e di Casale, e con