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e che gli orrori commessi in quell’anno dall’esercito del gran re nella valle di San Martino, stanno poco al di sotto delle famose stragi di Pasqua. Ma essi parlano di tutti quegli avvenimenti senz’ira, e quasi senza rancore, da vincitori che han perdonato; e perfino nei loro scritti storici, se qualche volta si lasciano sfuggire una parola violenta, non è quasi mai che una parola; alla quale segue subito l’espressione d’un sentimento di pietà e di benevolenza. Deriva anche questa moderazione dalla cultura, della conoscenza della storia, particolarmente, che è assai diffusa fra loro; per il che non cadono nell’errore di spinger troppo oltre le giuste recriminazioni, giudicando il passato con le idee del presente. Non c’è alcuno di essi che, nel giudicare le guerre atroci di cui furon vittime i loro padri nel sedicesimo secolo, non mostri d’aver chiaro in mente il concetto dello stato di quella Europa, divisa in due campi dalla religione, agitata furiosamente dal Papato, che andava riacquistando le antiche forze, insanguinata con egual furore da protestanti e da cattolici: il concetto, dico, della confusione di errori e di passioni di quel periodo di tempo, nel quale avevan color religioso tutte le guerre, e la teologia guidava la politica, ed era massima inconcussa in ogni Stato la necessità dell’unità religiosa, e che fosse fuor della legge chi era fuor della Chiesa, e che non si dovesse usare in materia di religione nè pietà nè misericordia. Perciò non si rifiutano di riconoscere, nemmeno nei più implacabili nemici di quegli anni, certe ragioni che valgono a sce-