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la ginevra italiana 179

gnale di quelle stragi di Pasqua, di quella Saint-Barthélemy dei Valdesi, che strappò un grido d’orrore al mondo, e quei versi terribili al Milton; e dopo la quale degli uffiziali onorati buttaron la spada con disprezzo ai piedi del loro generale; là in quel tratto della valle e per tutto lo spazio che s’abbraccia di lassù con lo sguardo, famiglie intere, snidate dai nascondigli, raggiunte e accerchiate per le vie e per i campi, furon palleggiate sulle punte delle spade e delle alabarde; centinaia di sventurati fatti perire con quei supplizi inauditi, inventati dalle immaginazioni stravolte di carnefici pazzi e briachi, con quelle agonie eterne, la cui sola idea ci oscura la ragione; uomini e donne d’ogni età, sotto gli occhi dei loro più cari, scaraventati giù dai precipizii, scannati, scorticati, sbranati, ridotti lentamente un carname informe che urlava ancora, e i bambini sfracellati contro le roccie, in cospetto delle madri mutilate, a cui schizzavan le cervella negli occhi.... Oh! Maledizione! Dolore! Vergogna eterna! Esecrabili memorie che inferociscono il cuore, che destano, con l’immaginazione della vendetta, anche nell’anima dei miti, la sete di sangue che era nell’anima dei carnefici!... Ma un altro sentimento tien dietro subito all’indignazione: uno scoramento triste, un disprezzo infinito della bestia umana, che fu capace allora di commettere quegli orrori in nome della religione, che li commise più tardi in nome della libertà, che li commetterà forse domani in nome dell’eguaglianza; che è capace ancora, dopo sei secoli, di ricordarli senza ribrezzo e senza rossore, di scusarli, di giustificarli, di gloriar-