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niere, abituato alle formalità del servizio, — Mi rincresce soltanto che non mi ricordo più del nome di battesimo di Delpero. — Io lo sapevo: Francesco; e anche il soprannome, Nerone: li avevo visti in sogno più d’una volta, scritti sulla parete, a caratteri rossi. Fummo maravigliati della sua voce: una voce profonda, poderosa, un po’ tremula, la quale, a’ suoi bei tempi, doveva gridare degli alto là da far accapponare la pelle ai cavalli. Due ore dopo era seduto a tavola con noi, e ci raccontava la sua vita, modestamente: figliuolo d’un capellaio d’Alessandria, soldato nella brigata Aosta dal 1835 al 1841, poi carabiniere; promosso vicebrigadiere, non so in qual anno, dopo un arresto rischioso fatto a Torre Pellice, e servizi resi durante il colèra, a Villafranca. Al tempo del Delpero, era di stazione a Vigone. Il bandito era cercato da varii mesi, furiosamente, da tutte le parti. Da ultimo aveva ancora ucciso a tradimento due carabinieri, di notte, sulla via di Pollenzo, e cercava di assassinare il delegato di sicurezza pubblica di Pinerolo, certo Francia, al quale aveva già dato molti anni prima una stilettata mortale, per cui l’avevan mandato in galera; donde era fuggito freddando un guardiano. Il Gamalero faceva continue perlustrazioni, faticose e inutili, nei boschi di Vigone, dove si credeva che il Delpero s’aggirasse con la sua banda. Una sera che ritornava stanco morto da una di queste corse, gli dicono che il brigadiere, uscito poco prima dalla caserma, cerca di lui. Egli va difilato all’osteria dell'Orso marino, dove gli pareva più probabile di trovarlo. C’era infatti, con