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la ginevra italiana 157

nato il desiderio di conoscerli e d’interrogarli. Ma confesso che sapevo assai poca cosa dei fatti loro. Per molti anni, da ragazzo, il loro nome non mi aveva chiamato alla mente altre immagini che lo strano emblema della loro fede: una candela che arde in mezzo a una corona di stelle, col motto Lux lucet in tenebris; e il ricordo d’un bel quadro d’artista piemontese, il quale rappresentava un gruppo d’uomini e di donne, sfuggiti alle persecuzioni dei savoiardi, e raccolti sulla cima rocciosa d’una montagna, pallidi di sfinimento e di terrore, sotto il raggio rosato dell’aurora. Poco tempo dopo, negli anni della nostra rivoluzione, la storia delle loro lotte gloriose contro il despotismo teocratico m’aveva acceso d’un entusiasmo pieno d’affetto. Poi avevo dimenticato. Ed ora mi ritrovavo, quasi all’impensata, in mezzo a loro e stavo per entrare nel loro paese, e, cosa che non prevedevo ancora, nella loro storia, nella quale il mio spirito e il mio cuore dovevano poi rimanere per molti mesi, come imprigionati dall’ammirazione. Al nascere di questi pensieri, naturalmente, il vice brigadiere Gamalero si ritirò in seconda linea. Non desiderai più di arrivare a Torre Pellice che per veder la capitale di quel popolo così singolare e ammirevole. E intanto avrei voluto attaccar conversazione con qualcuno dei presenti. Ma il loro contegno non era punto incoraggiante. Due parevano assorti nei proprii pensieri, altri discorrevano a voce bassa d’una Scuola latina, che è nel villaggio di Pomaretto, posto all’imboccatura della valle di San Mar-