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nandosene da Lione, avesse lasciato i suoi cinquemila soldati al re di Francia, era venuta a rinfiammare ancora le speranze già vivissime dei pinerolesi. Ma quel benedetto notaro Lombriasco era proprio un ambasciatore male ispirato. La stessa sera, anzi nello stesso punto che annunziava in casa quell’atto cavalleresco e sagace del Duca di Savoia, dava pure, stropicciandosi le mani, il "felicissimo" annunzio che la lite del Benavides con la famiglia Mortier o Mornier era finita, e che il suo nobile cliente aveva disdetto per la metà del mese il quartierino di via Porta di Francia.



La settimana seguente, sull’imbrunire d’un giorno triste di dicembre, nevicava; la stanza da desinare del notaro era mal rischiarata da un’alta lucerna posta nel mezzo d’un tavolino intorno al quale la signora e la ragazza facevano delle nappe da tenda; e il Benavides, seduto un poco in disparte, aspettava da qualche minuto il signor Lombriasco, guardando attentamente Evelina, che da parecchio tempo gli pareva mutata. Tutti e tre stentavano singolarmente, quella sera, a trovar materia di discorso, e parole; e tacevano di tratto in tratto per alcuni momenti, durante i quali non si sentiva nella stanza che il fruscìo leggiero dei grandi stivali di daino del catalano, non statuariamente immobile come sempre.

All’improvviso, si spalancò la porta, e ap-