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emanuele filiberto a pinerolo 117

e gli tornava in gola di tanto in tanto. — Il Consiglio dei Cento! — esclamava nei giorni di cattiva luna, gesticolando dietro ai vetri, quando vedeva passare per la piazza un uffiziale francese. — Ma la vostra famosa monarchia era ancora nelle fasce, quando il Consiglio dei Cento era già in piedi, forza e decoro di Pinerolo, assemblea legislativa, supremo magistrato politico, rispettato in tutta la sua autorità da quanti passarono fra le nostre mura, da abati, da marchesi di Susa, da principi d’Acaia, da conti di Savoia! Ce n’est pas un Conseil... décent! Ma l’avete dovuto rispettare anche voialtri, padroni illustrissimi, e sarà ancora rispettato quando non ci sarà più neppure la semenza dei Valois e degli Angiò, credetelo pure! — E se l’uffiziale francese, per caso, si voltava a guardare la finestra, lui, da savio padre di famiglia, si ritirava dalla vetrata, e continuava a sfogarsi in mezzo alla stanza. Ma non era mai tanto ameno come quando canzonava il nipote, del quale conosceva la passioncella innocua, e le comiche imitazioni del Duca. Diceva d’averlo sorpreso a lavarsi il capo con l’acquavite per fortificarsi la testa, e lo chiamava testa di ferro, battendogli la mano sulla nuca, come per sentire a che grado di durezza l’avesse già ridotta: di che il giovane andava sulle furie, e si faceva pavonazzo, che parea sul punto di schiattare.



Il Benavides, frattanto, andava pigliando a poco a poco una secreta compiacenza a far vi-