moglie e alla figliuola, con la coda dell’occhio verso il cliente; — ecco la nostra alleata naturale, necessaria, perpetua. Nuestra amiga. La protettrice provvidenziale dei Duchi. Chi aveva divinato il genio guerriero di Emanuele Filiberto se non Carlo V? Chi, se non Filippo II, gli aveva fornito i mezzi di farsi glorioso e potente a benefizio del suo paese? Chi aveva imposto nel trattato di Cambray la restituzione del Piemonte, con la minaccia di ricominciare la guerra? La Corte di Madrid, insomma, non aveva mai abbandonato in tutto neppure Carlo il Buono. Aveva preso la sua parte, ma senza violenza. Si poteva dire che “usurpava„ più per necessità che per cupidigia. Gli facevan scrollare le spalle i fiorentini, i veneziani, i genovesi, e gli sforzeschi e gli estensi con le loro tenerezze francesi, manifeste o coperte. Non erano che sfoghi di dispetto, gelosia del colosso, una gran voglia d’esser liberi per fare alto e basso e mettere il mondo a soqquadro con le loro matte ambizioni. Naturalmente, non poteva patire la Francia; e in questo era sincero. Ah sì! La vista d’un francese gli metteva il cuore a traverso. Ma, in realtà, quella sua furiosa avversione derivava anche in parte da un suo rancore privato: dal fatto che, essendo egli stato anni addietro del Consiglio dei Cento, e gloriandosene sopra modo, era stato offeso mortalmente da un bisticcio ingiurioso d’un uffiziale francese, il quale, in occasione d’un litigio insorto tra il Consiglio e il Siniscalco del Re, aveva detto: Ce n’est pas un Conseil décent. Questa l’aveva serbata sullo stomaco per anni ed anni