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decifrabili, in mezzo agli atti consolari della città di Pinerolo. Il nobile Enrique de Benavides, venuto qui da Gerona per la questione intricata d’una eredità lasciatagli da un parente di sua madre, colonnello francese, non si capisce se Mortier o Mornier, del presidio di Pinerolo, aveva affidato l’affare proprio al notaro Lombriasco per la riputazione d’uomo integerrimo di cui godeva; ma avrebbe potuto attestare alla città intera che un mese e più dopo il primo abboccamento, e quando già s’era stabilita fra loro una certa dimestichezza, il delicato notaro non gli aveva ancora fatto parola della sua famiglia. La relazione era nata per puro accidente. Un giorno che il Benavides stava ad aspettare nello studio notarile, la señorita Evelina, certa di trovarci suo padre solo, era entrata festosamente, d’un salto, tenendo spiegata davanti a sè una stampa che rappresentava la battaglia di San Quintino, e che le era arrivata allora per le poste, desiderata da lungo tempo. Visto appena quel signore, aveva fatto l’atto di ritirarsi, vergognandosi e chiedendo scusa; ma era rimasta come inchiodata là dalla maraviglia e dalla gioia quando il signore catalano letto di sfuggita il titolo vistoso della stampa aveva detto in tuono di gentile rispetto, e con molta semplicità: — Si occupa della battaglia di San Quintino, señorita? Io ci sono stato.



Così il Benavides aveva fatto conoscenza della famiglia: e da quel giorno, ogni volta che usciva