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minuti. Raramente arrivavan tutti; alcuni cadevan per viaggio, fulminati dai cacciatori; altri si smarrivano, o andavano in cerca d’avventure, e giungevan più tardi; ma la maggior parte, dopo fatto qualche giro incerto sopra la piazza, infilavano la via diritta e tornavano alla fortezza d’una volata sola. E il sergente ci indicava dalla finestra, giù nel forte di San Carlo, la sua colombaia, non dicendo, ma pensando forse con ragione: — Faccio anch’io qualche cosa per il mio paese: gli educo dei servitori utili, disinteressati e fedeli.



Dal forte di Sant’Elmo scendemmo per una strada esterna, che fa trentasei svolte a traverso a un bosco di pini cembri, in mezzo a cento varietà di campanule, di serpilli, di scabiose, di fiori alpini d’ogni colore, alla vista dei quali, essendo la strada ineguale e sassosa, dovetti rinunciare, con grande rammarico, per dedicarmi tutto quanto alla conservazione della mia dignità verticale. Alla Rosa rossa trovammo una tavolata di gente della montagna, che discorrevano ad alta voce nel loro bizzarro dialetto, misto di piemontese, di francese e di provenzale, non sgradevole all’orecchio, e pieno di immagini colorite. Parlavan d’ufficiali francesi travestiti, che gironzavano nei dintorni. Là, vicino alle frontiere, il sentimento patrio è costantemente eccitato dalla memoria sempre viva delle guerre francesi, e più da quello incrociarsi