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il forte di fenestrelle |
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d’Italia. Eppure mi parve che ci si dovesse provare un certo gusto a star là appallottati accanto al fuoco, con un pipone in bocca, le sere d’inverno, quando fa un freddo da spaccar le pietre, ed urlano per i monti le fiere immaginarie del cardinal Pacca. Rimanemmo là un pezzo, trattenuti, come dice il Boccaccio, dalla “piacevolezza del beveraggio„ e dalla conversazione arguta dei nostri ospiti. Uno dei quali, particolarmente, un furiere còlto e cortese, ci fece un’uscita amenissima. Domandato di che provincia fosse, ci disse il nome d’un comune del Piemonte, soggiungendo: — Dove villeggiò il tal dei tali. — E il villeggiante, per l’appunto, era uno di noi due. Ma avendogli detto l’altro: — Eccolo qui il tal dei tali, — Che! rispose lui, facendo un gesto molto espressivo, non lo credo neanche se mi dànno centomila lire. — Non avendo la somma disponibile per tentare la prova, si cercò di persuaderlo per altre vie, e dopo molto stento, ci parve di esserci riusciti; ma tanto egli continuò a guardarci tutti e due con un certo risolino diffidente, come se volesse dire: — Eppure, loro signori m’hanno l’aria di due famosi farceurs! — Un compagno suo, meno incredulo, ci raccontava intanto le piccole maraviglie dei piccioni del forte. Egli era incaricato di ammaestrarli. Portava con sè ogni settimana il suo gentile drappello alato in villaggi di volta in volta più lontani, dava loro il largo in mezzo a una piazza, e poi se ne tornava a Fenestrelle, dove i suoi allievi erano arrivati molte ore prima di lui, dopo aver percorso ottantamila metri in sessanta