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nel momento che all’oro il ferro aggiungeano ingiuriando per far traboccar la bilancia, fossero più infiammati dall’amor della patria di Pio VII, che stretto fra i ceppi mai col cuore e col labbro non assentì di dichiarar Roma ad estranee genti soggetta. Sì, a lui, ravvivatore della fortezza de’ Muzj de’ Regoli de’ Camilli, dee Roma la fortuna di essere ancora Roma; e l’Italia, ingiuriata a torto di aver perduto la razza dei forti, a lui deve gloria di poter vantare in faccia alla posterità, che un solo Italiano inerme nelle pene della schiavitù, tutto in se stesso fortificato, confonder seppe la vasta mente e render vana la immensa potenza del domatore delle più grandi nazioni d’Europa. E ch’egli meritasse d’essere salutato salvator della patria lo attestarono i popoli, allorchè infrantesi quasi per celeste prodigio le tenaci catene, fu seminata per tutta Italia la via di rose e di gigli, e tutte a coro a coro osannando le itale genti trionfante lo accompagnarono al Campidoglio. Felice trionfo di questo re mansueto che venne qual colomba portando il ramo di olivo, trionfo ben più glorioso di quello di Cajo Mario e del grande Pompeo: chè