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Simone Aliprandi - Apriti standard! | www.standardaperti.it - www.aliprandi.org | -21 |
Infine è utile citare un’opportuna riflessione del divulgatore informatico Bob Sutor il quale parla di interoperabilità in un’accezione più articolata, come concetto da non confondere con quello di “intraoperabilità”: ovvero una sorta di falsa interoperabilità, in cui permane comunque la predominanza di un prodotto, di uno standard, di una piattaforma rispetto agli altri equivalenti. Così si esprime Sutor sul suo blog:
«I think the word “interoperability” is being similarly abused. When a single vendor or software provider makes it easier to connect primarily to his or her software, this is more properly called intraoperability. In the intraoperability situation, one product is somehow central and dominant, either by marketshare, attitude, or acquiescence.»1 |
A tal proposito si pensi all’esempio più rappresentativo, cioè quello dei prodotti Apple: secondo la visione di Sutor, potremmo dunque dire che essi realizzano un livello elevatissimo di intraoperabilità ma non di interoperabilità2. Lo stesso si può affermare a proposito degli applicativi di una medesima suite: ovvero, a titolo di esempio, nei rapporti fra Word ed Excel di Microsoft, o fra Photoshop e InDesign di Adobe. In questi casi appunto Sutor parlerebbe di “intraoperabilità”.
Fig. 1 - Raffigurazione della distinzione concettuale effettuata da Sutor (fonte: www.sutor.com/newsite/blog-open/?p=1260)
- ↑ www.sutor.com/newsite/blog-open/?p=1260
- ↑ Di conseguenza, dicendo che “un iPhone è altamente interoperabile con un MacBook” oppure che “la piattaforma di iTunes è interoperabile con il software dell’iPod” non stiamo dando delle informazioni false però stiamo usando il concetto di “interoperabilità” in un senso limitato.