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invece di vietare usi dell’opera, trasmettessero una serie di libertà ai suoi utenti.
Da quel momento si iniziò a diffondere l’idea di libertà come un valore etico fondamentale per lo sviluppo di tecnologie informatiche: libertà dai vincoli giuridici della cosiddetta proprietà intellettuale, libertà dalle ottiche prettamente economiche che svilivano il software da oggetto di innovazione tecnologica a prodotto commerciale, libertà dalle valutazioni meramente strategiche delle aziende produttrici che andavano a scapito di una virtuosa condivisione delle conoscenze informatiche.
A metà degli anni 90 si aprì un dibattito su come rendere più appetibile alle imprese dell’ICT (e quindi non più solo alla comunità degli hackers) lo sviluppo di software in uno spirito per l’appunto libero dalle ormai tradizionali barriere di natura tecnica e giuridica che abbiamo brevemente illustrato nel paragrafo precedente. Alcuni attivisti del settore proposero una nuova definizione che potesse porre l’accento non tanto sull’aspetto etico della libertà quanto sull’aspetto tecnico dell’apertura del codice sorgente.
Si iniziò così a parlare di “open source” e tale termine ebbe un notevole successo grazie alla sua particolare efficacia semantica e comunicativa. Superata la fase della scelta terminologica, bisognava stendere le linee guida di questa nuova realtà. Uno dei suoi massimi fautori, Bruce Perens, si preoccupò di redigere la Open Source Definition (OSD), una sorta “decalogo” di riferimento per chiarire a priori cosa potesse essere ricondotto al concetto di Open Source.1
Il nuovo termine “open source”, anche se sulle prime fu osteggiato dai puristi del movimento, ebbe un notevole successo. Molti giornalisti e saggisti, volendo sempre più spesso rivolgersi ad un target di non addetti ai lavori e dovendo perciò cercare di non rendere la materia (già di per sé tecnica) troppo ostica, il più delle volte scelsero di utilizzare “open source” proprio per l’efficacia semantica di cui abbiamo già fatto cenno.
Tuttavia tale scelta continuava a generare critiche da parte di chi da più di dieci anni aveva invece combattuto per la diffusione del concetto di “software libero” (inteso nel suo senso originario). Il dilemma era (e forse è tuttora) abbastanza sterile, dato che nella maggior parte dei casi tali autori impegnati nell’opera di divulgazione parlavano dello stesso fenomeno; e di certo non poteva essere loro imposto di allegare sempre ai propri testi un noioso preambolo con le dovute precisazioni terminologiche e la citazione delle due definizioni.
- ↑ La Open Source Definition deriva da un precedente documento (sempre ad opera di Perens) chiamato “Linee guida del software Debian”, il cui testo completo è disponibile al sito www.debian.org/social_contract#guidelines.