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Simone Aliprandi - Apriti standard! www.standardaperti.it - www.aliprandi.org -13


Di riflesso, i produttori di software iniziarono a distribuire software coperto da copyright, accompagnandovi dei documenti in cui indicavano una serie di restrizioni per l’utente dell’opera: si tratta delle cosiddette licenze d’uso, nuovo tipo contrattuale attualmente molto diffuso nel settore ICT. Tuttavia, oltre a questa barriera di natura giuridica, essi pensarono che fosse opportuno porne una ulteriore, questa volta di natura tecnologica. Così per evitare che gli utenti del software ne facessero usi che andassero al di là di quelli consentiti nelle licenze d’uso, si iniziò a distribuire il software unicamente sotto forma di codice binario (ovvero il codice leggibile solo dal calcolatore), senza quindi il relativo codice sorgente.

Questo non è tutto. La deriva iper-protezionistica1 delle creazioni a carattere informatico proseguì e arrivò nel giro di non molti anni dalla nascita di questo settore industriale a trovare nuove forme per controllare gli utilizzi non autorizzati delle creazioni. E ancora una volta si cercò di far leva su fattori di natura giuridica e di natura tecnologica, ad esempio spingendo verso la possibilità di brevettare algoritmi e piccoli frammenti di software (già coperto da copyright) e implementando meccanismi digitali di controllo delle copie distribuite (i cosiddetti Digital Rights Management systems, o DRMs)

Un quadro come questo non poteva essere però tollerato da coloro che avevano fatto dello sviluppo di software una specie di missione intellettuale: i cosiddetti hacker, nel senso originario (e più corretto) del termine2. Alcuni di essi, capitanati dal ricercatore del MIT di Boston Richard M. Stallman, pensarono che fosse necessario trovare un escamotage per continuare a condividere e a sviluppare liberamente il software come avevano fatto fino a quel momento. Nacque così l’idea di free software (con free nel senso di libero e non di gratuito) e la soluzione del copyleft: un particolare meccanismo giuridico di inversione degli effetti del copyright, basato su licenze d’uso che,

  1. A parlare di “iper-protezione” della proprietà intellettuale nella dottrina giuridica italiana sono nomi autorevoli, fra cui si segnala principalmente Auteri P., Iperprotezione dei diritti di proprietà intellettuale?, in AIDA 2007, Giuffrè, 2008.
  2. Al contrario di quanti molti pensano il termine hacker non ha un’accezione di per sé negativa e non individua un pirata informatico, bensì solo un appassionato di programmazione che fa della conoscenza dei segreti della scienza informatica una vera sfida intellettuale. Come infatti sottolinea Sergio A. Dagradi «il termine hacker ha invece una valenza positiva - come già sottolineava Steven Levy all’inizio degli anni ottanta [nel libro Hackers. Eroi della rivoluzione informatica del 1984] - e in tal senso viene assunto da Himanen, riprendendo inoltre le osservazioni che uno di questi stessi hacker, Linus Torvalds [ovvero l’inventore del sistema operativo Linux), riassume anche nel prologo del libro in questione: l’hacker è una persona che programma con entusiasmo, credendo nel potere positivo della diffusione dell’informazione, e cercando di conseguenza di creare software che siano free e possano facilitare a tutti e ovunque l’accesso all’informazione e alle risorse di calcolo.» Dagradi S. A., Informazionalismo, etica hacker e lavoro immateriale, in Jori M. (a cura di), Elementi di informatica giuridica, Giappichelli, Torino, 2006 (p. 30).