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INF.

I premerei di mi concetto il suco
     Piu pienamente: ma perch’i non l’habbo,
     Non senza tema a dicer mi conduco:
Che non è impresa da pigliar a gabbo
     Descriver fondo a tutto l’universo;
     Ne da lingua, che chiami mamma, o babbo.
Ma quelle donne aiutino ’l mio verso,
     ch’aiutar Amphion a chiuder Thebe;
     Sì che dal fatto il dir non sia diverso.
O sovra tutte mal creata plebe;
     che stai nel loco, onde parlare è duro
     Me foste state qui pecore, o zebe.
Come noi fummo giù nel pozzo scuro
     Sotto i pie del gigante assai più bassi,
     Et io guardav’anchor all’alto muro;
Dicer udimi, guarda, come passi:
     Fa sì, che tu non calchi con le piante
     Le teste de fratei miseri lassi:
Perch’i mi volsi, et vidimi davante
     Et sotto piedi un lago; che per gelo
     Havea di vetro, et non d’acqua sembiante.
Non fece al corso suo sì grosso velo
     Di verno la Danoia in Austericch
     Ne ’l Tanai la sotto ’l freddo cielo;
Com’era quivi: che se Tabernicch
     vi fosse su caduto, o Pietrapana;
     Non havria pur da l’orlo fatto cricch.
Et com’a gracidar si sta la rana
     Col muso fuor de lacqua, quando sogna
     Di spigolar sovente la villana;