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196 CONCETTO DI DANTE


Poesia, cosicchè nei luoghi che molto furono disputati, si trovi più spesso la sottilità speculativa della mente, che non la sostanza di quella Poesia ch’era in lui figlia dell’amore: alcune lezioni forse erano dubbie a lui medesimo, che non pubblicava, mentro visse, l’intero Poema.

A questo Volgare Illustre ben egli sentiva mancare autorità sufficiente, mancando in Italia un’Aula o Curia, della quale fosse proprio quello che a tutti è comune. Ma, prosegue egli, noi pure abbiamo una Corte, sebbene ella sia corporalmente dispersa, perchè le membra di quella che in Germania sono unite da un Principe, qui sono congiunte dal grazioso lume della ragione. Intende egli dunque il Linguaggio degli Uomini eccellenti, Linguaggio di pochi. Ma siccome, nel concetto di questo Volgare Illustre, ne sembra egli recarlo troppo su, così nella estimazione dei vivi Dialetti mette ogni studio in abbassarli, di essi allegando voci triviali, e facendone tal peccato da condannarli tutti insieme, siccome indegni ed incapaci dell’alto Stile. Ma veramente quel brutto introcque, usato una volta dall’Alighieri nel Poema, nè so perchè, non fu mai scritto, ch’io sappia, nè dal Compagni, nè da Fra Giordano, nè dal Villani, nè dal Cavalca; e nemmeno dal Latini, dal Malespini e dal Giamboni, che sono più antichi. Così nel Francese, che troppo si pone ad esemplare di ogni Lingua, certe parole degl’impagliatori di Parigi non si trovano usate mai, non dico nelie Orazioni del Bossuet, ma nemmeno nelle Commedie del Molière. Se in quel giudicio la passione fece trascorrere l’Alighieri, bene fu degno di lui l’accorgersi e giudicare come in Italia mancasse alla Lingua dei ben parlanti e degli Scrittori quell’uso autorevole, che fosse da tutti spontaneamente consentito. Nessuna Eloquenza aveva bisogno d’aItro Idioma che di quel Volgare; ma non l’usavano, e i Dottori scriveano e parlavano Latino ogni volta che voleano essere autorevoli; Latino la Chiesa, Latino i Principi e le Signorie: quella di Firenze non s’arrischiò al Volgare fin dopo alla metà del secolo decimoquarto. Nè questa Repubblica ebbe mai pubblicità di arringhe, nè fama d’uomini eloquenti: scriveano i Cronisti e gli Asce-