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194 CONCETTO DI DANTE


sommi uomini per le somme cose; Nè già una lingua, ma una scelta o pesatura «librata regula» delle voci o dei modi, che sono degni di quegli uomini e di quelle cose: era un camminare con passo dantesco per le sommità d’un Idioma, non già un pigliarlo sin giù dal fondo: era un ristringerlo, anzichè ampliarlo. Ma il Libro non tratta veramente se non della Lingua, la quale è propria della Poesia; e negli esempj che Dante allega, non si esce mai dalle Canzoni, adatte sol esse ai più nobili componimenti, siccome afferma egli medesimo. In altro luogo, quell’alto Stile chiama egli Tragico, distinguendolo da quello che è proprio della Commedia. Questo nome diede egli allo stesso Poema suo, perchè non poteva sempre in esso discorrere di alte cose; e le usuali pure dovendo trattare, vedeasi costretto spesso allo scrivere usuale. Ma il Volgare Illustre a Dante pareva (e certo a buon diritto) di avere usato nelle Canzoni, pareagli lo avessero usato altri pochi, e tra essi alcuni dei Provenzali. Dal che si vede come pur esso, anzichè un Idioma, venga egli a porsi innanzi una forma di alto Linguaggio per l’alta Poesia, la quale forma sia comune alle Nazioni di sangue latino, avendo però ciascuna di esse una espressione tutta sua propria, che sia per l’Italia, dalla Sicilia all’Alpi, l’illustre Linguaggio dei maggiorenti della Nazione. Cotesta forma a lui pareva che fosse trovata pel nostro Idioma quanto alle Canzoni, siccome l’aveano trovata pel loro, in modo affine, i Provenzali. Ma si tenga fermo che sempre innanzi gli sta il Latino, signore legittimo dell’alto Stile ed eccellente; e il vagheggiato Italiano Illustre chiama egli in più luoghi Latino Illustre (così ha il Testo originale), ed in Latino scriveva il Trattato dell’Eloquenza Volgare.

A questi concetti fu condotto l’Alighieri (quanto a me sembra) da più motivi. Innanzi a tutti era l’alta mente, cui non mancò possa, finchè essa non venne a perdersi in Dio, e quello intendere alla eccellenza che mai non si appaga delle cose presenti, ma cerca il fine suo nell’eternità dell’avvenire o nella effigie ideale del passato. Ma questo sentire, il quale aveva come suo centro nella grande anima del Poeta,