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COMMENTI. 177


gnis,» mal ivi allogato con offesa della verità manifesta per ogni parte del discorso.

25. Nec silvestria, propter asperitatem, ut gregia et cætera. Riformando la traduzione del Trissino, il Fraticelli non si dubitò di sostituir asperità ad austerità, ma doveva pur avvertire, che nel Testo era da registrare, non «austeritatem,» sì veramente «asperitatem,» secondo che ne consiglia la Critica, informata alla dottrina ed all’arte di Dante stesso: lin. 43; Vulg. El., i, 14. Ho scritto poi greggia, per essere vocabolo più silvestre od aspro, che non gregia, come porta la lezione comune.

29. Pexa vocamus illa, quæ trisyllaba, vel vicinissima trisyllabitati, sine aspiratione, sine accentu acuto vel circumflexo, sine z vel x duplicibus, sine duarum liquidarum geminatione, vel positione immediate post mutam dotatam, quasi loquentem cum quadam suavitate relinquunt. A considerar ben bene ogni cosa, parecchie correzioni si desiderano in questa Volgata. Ed in prima, qui mi ricredo, che invece di «trisyllabitati» debba riporsi «trisyllabilitati» bensì tengo per fermo che s’abbia a leggere «trisyllabis,» riferendosi a «vocabolis» sottinteso, e conformemente all’interpretazione del Vicentino. Giusta il Böhmer, sarebbe poi da mutarsi in «durarum» il numerale «duarum,» che sembra del tutto inutile, tanto più susseguito com’è da «geminatione.» Oltreche gli parrebbe necessario quel vocabolo, da che l’Allighieri non esclude ogni geminazione di liquida, dell’n per esempio, ma sì di quelle che hanno duro suono. Se non che presso i Latini riguardavansi come liquide soltanto le lettere le r («duæ apud Latinos liquescunt, l et r, ut fragor et fletus:» Isid., Ety., i, 4). Or gli è in effetto il raddoppiamento dell’una o dell’altra delle due liquide, che il nostro Autore insegnava non doversi ritrovare ne’ vocaboli, ch’ei chiama pettinati. Onde a questo punto fa d’uopo mantenere la lezione volgata «duarum liquidarum.» Anche al «dotatam,» che ivi subito dopo «mutam» non ha senso, quel savio Critico s’avviserebbe di far susseguire «prolata» da riferirsi a «positione,» ragionevolmente premettendovi «sine.» Ma senza fallo, nel luogo

Dante, Opere latine. 12