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COMMENTI. | 137 |
Sonetti, trovasi iuserita nella Raccolta sopr’indicata, ed il Nannucci allogò le altre due nel suo Manuale della Letteratura del primo secolo della Lingua italiana rivendicandole con sana critica e autorevoli Codici a Tommaso da Faenza, quando mal si attribuivano a Simbuono Giudice. Veramente, se vogliamo credere al Crescimbeni, Tommaso, che Dante ricorda ad onore, pare discendesse dalla famiglia di Ugolino e per avventura fosse fratello del medesimo: opinione, cui poscia s’accostarono il Antonio Tiraboschi e il Mazzucchelli. Ma il Faentino abate Andrea Zannoni nella sua «Literatura Faentinorum» dimostrò per autentici documenti, che il nomignolo di Bucciola o Buzzuola deve riferirsi soltanto ad Ugolino, e che perciò Tommaso sullodato sia quello stesso conosciuto sotto il nome di Tommaso da Faenza. Di questa preziosa notizia io debbo in parte qui porgere grazie al valoroso dantista Giovanni Della Valle, che gentilmente si piacque di procurarmela dal dottissimo ed esimio signor Marcello Valgemigli, Bibliotecario della città di Faenza.
19. Manara, leggono i Codici e le vecchie Stampe; ma io mi son persuaso che la vera lezione fosse magara, dappoichè all’osservazione del Corbinelli che dovesse scriversi magari, Scipione Maffei credette ch’ei ben s’apponesse, — tanto più che allor diceasi magara, come si ode in più altri paesi ancor oggigiorno. È voce corrotta da μακαριοι o da μακαριον Θεόυς; onde si dice altresì dal nostro Popolo magari Dio! — Se non che queste voci, e i Dialetti cui si riferiscono, non bastano a renderci probabile che neppur allora suonassero così aspri e rozzi, e siano poi tali, che sulle labbra di una Donna possano disacconciarla, non che la facciano parer uomo.
25. Quod quidem barbarissimum reprobamus, come barbarissimo lo riproviamo. E sia pure che debbano condannarsi cotali barbarismi: e chi non li rifiuterebbe? ma non ci deve per altro cader di mente che qui si tratta dell’uno o dell’altro Linguaggio, senza punto considerarne l’intima loro struttura o la forma grammaticale. Ed è solo il modo della pronunzia che vi s’attende, e, tuttal più, la stranezza di qualche vocabolo sformato, non però dispregevole interamen-