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CANTO XXI
Cosí di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedía cantar non cura,
3venimmo; e tenavamo il colmo, quando
restammo per veder l’altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
6e vidila mirabilmente oscura.
Quale ne l’arzaná de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
9a rimpalmare i legni lor non sani,
ché navicar non ponno; e ’n quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
12le coste a quel che piú viaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
15chi terzeruolo e artimon rintoppa;
tal, non per foco, ma per divin’arte,
bollia lá giuso una pegola spessa,
18che ’nviscava la ripa d’ogni parte.
I’ vedea lei, ma non vedea in essa
mai che le bolle che ’l bollor levava,
21e gonfiar tutta, e riseder compressa.
Mentr’io lá giú fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo ‛ Guarda, guarda! ’
24mi trasse a sé del loco dov’io stava.
Allor mi volsi come l’uom cui tarda
di veder quel che li convien fuggire,
27e cui paura súbita sgagliarda,
che, per veder, non indugia ’l partire;
e vidi dietro a noi un diavol nero
30correndo su per lo scoglio venire.