Giá eravam lá ’ve lo stretto calle
con l’argine secondo s’incrocicchia, 102e fa di quello ad un altr’arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia
ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, 105e se medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d’una muffa,
per l’alito di giù che vi s’appasta, 108che con li occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo sí, che non ci basta
luogo a veder senza montare al dosso 111de l’arco, ove lo scoglio piú sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giú nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco 114che da li uman privadi parea mosso.
E mentre ch’io lá giú con l’occhio cerco,
vidi un col capo sí di merda lordo, 117che non parea s’era laico o cherco.
Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sí ’ngordo
di riguardar piú me che li altri brutti?» 120E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
giá t’ho veduto coi capelli asciutti,
e se’ Alessio Interminei da Lucca: 123però t’adocchio piú che li altri tutti».
Ed elli allor, battendosi la zucca:
«Qua giú m’hanno sommerso le lusinghe 126ond’io non ebbi mai la lingua stucca».
Appresso ciò lo duca: «Fa che pinghe»
mi disse «il viso un poco piú avante, 129sí che la faccia ben con l’occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante
che lá si graffia con l’unghie merdose, 132e or s’accoscia, e ora è in piedi stante.
Taide è, la puttana che rispose
al drudo suo quando disse ‛ Ho io grazie 135grandi appo te? ’: ‛ Anzi maravigliose! ’
E quinci sian le nostre viste sazie».