Cosí parlando il percosse un demonio
de la sua scuriada, e disse: «Via 66ruffian! qui non son femmine da conio».
I’ mi raggiunsi con la scorta mia:
poscia con pochi passi divenimmo 69lá ’v’uno scoglio de la ripa uscía.
Assai leggeramente quel salimmo;
e vòlti a destra su per la sua scheggia, 72da quelle cerchie eterne ci partimmo.
Quando noi fummo lá dov’el vaneggia
di sotto per dar passo a li sferzati, 75lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
lo viso in te di quest’altri mal nati,
ai quali ancor non vedesti la faccia 78però che son con noi insieme andati».
Del vecchio ponte guardavam la traccia
che venía verso noi da l’altra banda, 81e che la ferza similmente scaccia.
E ’l buon maestro, senza mia dimanda,
mi disse: «Guarda quel grande che viene, 84e per dolor non par lagrima spanda.
Quanto aspetto reale ancor ritiene!
quelli è Iasòn, che per cuore e per senno 87li Colchi del monton privati féne.
Ello passò per l’isola di Lenno,
poi che l’ardite femmine spietate 90tutti li maschi loro a morte dienno:
ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta 93che prima avea tutte l’altre ingannate.
Lasciolla quivi, gravida, soletta:
tal colpa a tal martiro lui condanna; 96e anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna:
e questo basti de la prima valle 99sapere, e di color che ’n sé assanna.