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inferno - canto xvii 77

     come i Roman per l’esercito molto,
l’anno del giubileo, su per lo ponte
30hanno a passar la gente modo còlto,
     che da l’un lato tutti hanno la fronte
verso ’l castello e vanno a Santo Pietro;
33da l’altra sponda vanno verso il monte.
     Di qua, di lá, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
36che li battíen crudelmente di retro.
     Ahi come facean lor levar le berze
a le prime percosse! giá nessuno
39le seconde aspettava né le terze.
     Mentr’io andava, li occhi miei in uno
furo scontrati; e io sí tosto dissi:
42«Giá di veder costui non son digiuno»,
     per ch’io a figurarlo i piedi affissi;
e ’l dolce duca meco si ristette,
45e assentío ch’alquanto in dietro gissi.
     E quel frustato celar si credette
bassando il viso; ma poco li valse,
48ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,
     se le fazion che porti non son false,
Venedico se’ tu Caccianemico:
51ma che ti mena a sí pungenti salse?»
     Ed elli a me: «Mal volentier lo dico;
ma sforzami la tua chiara favella,
54che mi fa sovvenir del mondo antico.
     Io fu’ colui che la Ghisolabella
condussi a far la voglia del Marchese,
57come che suoni la sconcia novella.
     E non pur io qui piango bolognese;
anzi n’è questo luogo tanto pieno,
60che tante lingue non son ora apprese
     a dicer ‛ sipa ’ tra Sávena e Reno;
e se di ciò vuoi fede o testimonio,
63recati a mente il nostro avaro seno».