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66 la divina commedia

     ti si fará, per tuo ben far, nemico:
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
66si disconvien fruttar al dolce fico.
     Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
gente avara, invidiosa e superba:
69dai lor costumi fa che tu ti forbi.
     La tua fortuna tanto onor ti serba,
che l’una parte e l’altra avranno fame
72di te: ma lungi fia dal becco l’erba.
     Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
75s’alcuna surge ancora in lor letame,
     in cui riviva la sementa santa
di que’ Roman che vi rimaser, quando
78fu fatto il nido di malizia tanta».
     «Se fosse tutto pieno il mio dimando»
risposi lui «voi non sareste ancora
81de l’umana natura posto in bando;
     ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
84di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
     m’insegnavate come l’uom s’eterna:
e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo
87convien che ne la mia lingua si scerna.
     Ciò che narrate di mio corso scrivo,
e serbolo a chiosar con altro testo
90a donna che saprá, s’a lei arrivo.
     Tanto vogl’io che vi sia manifesto,
pur che mia coscienza non mi garra,
93che a la Fortuna, come vuol, son presto;
     non è nuova a li orecchi miei tal arra:
però giri Fortuna la sua rota
96come le piace, e ’l villan la sua marra».
     Lo mio maestro allora in su la gota
destra si volse in dietro, e riguardommi;
99poi disse: «Bene ascolta chi la nota».