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inferno - canto xiii 57

     Surge in vermena ed in pianta silvestra:
l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
102fanno dolore, e al dolor fenestra.
     Come l’altre verrem per nostre spoglie,
ma non però ch’alcuna sen rivesta;
105ché non è giusto aver ciò ch’uom si toglie:
     qui le strascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
108ciascuno al prun de l’ombra sua molesta».
     Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch’altro ne volesse dire;
111quando noi fummo d’un romor sorpresi,
     similemente a colui che venire
sente il porco e la caccia a la sua posta,
114ch’ode le bestie, e le frasche stormire.
     Ed ecco due da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sí forte,
117che de la selva rompieno ogni rosta.
     Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!»
E l’altro, cui pareva tardar troppo,
120gridava: «Lano, sí non furo accorte
     le gambe tue a le giostre dal Toppo!»
E poi che forse li fallía la lena,
123di sé e d’un cespuglio fece un groppo.
     Di retro a loro era la selva piena
di nere cagne, bramose e correnti
126come veltri ch’uscisser di catena.
     In quel che s’appiattò miser li denti,
e quel dilaceraro a brano a brano,
129poi sen portar quelle membra dolenti.
     Presemi allor la mia scorta per mano,
e menommi al cespuglio che piangea,
132per le rotture sanguinenti, in vano.
     «O Giacomo» dicea «da santo Andrea,
che t’è giovato di me fare schermo?
135che colpa ho io de la tua vita rea?»