«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
le cose» disse «che ne son lontano; 102cotanto ancor ne splende il sommo duce.
Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, 105nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto 108che del futuro fia chiusa la porta».
Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: «Or direte dunque a quel caduto 111che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;
e s’i’ fui dianzi a la risposta muto,
fate i saper che ’l feci che pensava 114giá ne l’error che m’avete soluto».
E giá il maestro mio mi richiamava;
per ch’i’ pregai lo spirto piú avaccio 117che mi dicesse chi con lui stava.
Dissemi: «Qui con piú di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico, 120e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».
Indi s’ascose; e io inver l’antico
poeta volsi i passi, ripensando 123a quel parlar che mi parea nemico.
Elli si mosse; e poi, cosí andando,
mi disse: «Perché se’ tu sí smarrito?» 126E io li sodisfeci al suo dimando.
«La mente tua conservi quel ch’udito
hai contra te» mi comandò quel saggio; 129«e ora attendi qui» e drizzò ’l dito:
«quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell’occhio tutto vede, 132da lei saprai di tua vita il viaggio».
Appresso volse a man sinistra il piede;
lasciammo il muro e gimmo inver lo mezzo 135per un sentier ch’a una valle fiede
che ’nfin lá su facea spiacer suo lezzo.