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nota 483

che il moto e il modo son paralleli al principio del Purgatorio, e meglio al Paradiso; maniera discorsiva, e non enfatica, di presentare la difficoltá dell’impresa poetica:

     Nel ciel che piú de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di lá su discende,
     perché, appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire:
     veramente... (tuttavia)...

Un altro dei luoghi piú noti e controversi, Purg., XXII, 38 sgg.:

     . . . quand’io intesi lá dove tu chiame,
crucciato quasi a l’umana natura:
     «Perchè non reggi tu, o sacra fame,
de l’oro l’appetito dei mortali?

È certo che Dante ha inteso il testo di Virgilio in modo diverso dal nostro: e la prima evidenza è che lo ha interpetrato non come grido d’orrore, ma come imprecazione contro l’umana natura, perché come tale l’ha commentato1; e che ha tradotto mortalia pectora col traslato di appetito dei mortali. Questo premesso, pare il piú vicino al vero, o forse il vero, ch’egli leggesse: Quid non mortalia pectora cogis auri, sacra fames? spostando quel complemento. E cosí il violento discepolo avrebbe cambiato il grido d’orrore del maestro, in un’imprecazione che chiede sull’umanitá la fame «sacra», perché viene da Dio: giusta punizione sia per «chi tiene» che per «chi burla». Anche nel Purg., XX, 103 sgg.:

     Noi repetiam Pigmalion allotta,
cui traditore e ladro e parricida
fece la voglia sua de l’oro ghiotta;
     e la miseria de l’avaro Mida,
che seguí a la sua dimanda ingorda,
per la qual sempre convien che si rida,

  1. Dimostra ciò il verbo «chiame», cioè gridi a gran voce; e l’aggettivo «crucciato»; e si noti che l’avverbio «quasi» non modifica l’aggettivo ma il complemento: significa che le eccezioni degli uomini incolpevoli sono poche.