Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/482

476 la divina commedia

quei codici o quelle famiglie che meglio aiutano a ricostruirle. Forse non è tutto, e può darsi che s’abbiano a inserire alcune subdistinzioni; ma è il piú, la sostanza: il Vandelli nella edizione ritoccata del ’27 (Le Monnier) accenna ad integramenti, a riscontri allargati, non a base diversa.

A me l’edizione Casella è stata guida assai utile per quella ricognizione diretta che ho voluto fare sui manoscritti: non con la presunzione di innovare risultati e neppure per un controllo, superfluo dopo spogli sicuramente i piú coscienziosi che si possano desiderare: ma perché un’esperienza personale è sempre savia; e al momento presente è indispensabile, in quanto manca all’edizione della Societá dantesca l’apparato critico, e di conseguenza manca il criterio di elezione nei luoghi opinabili o liberi alla congettura.

La presente edizione muove da quella del ’21, tenuto conto del Casella ’24, e del Vandelli ’27, risalendo alla fonte. Non porta novitá di sostanza1, cioè lezioni che la tradizione ignori, anche nei piú dei luoghi discussi e discutibili. Per criterio e per tendenza, dove la tradizione discorda, ho preferito l’edizione Vandelli, ossia della Societá dantesca, perché è autorevole, ed è giusto contribuire a darle autoritá. Ci sono versi che non persuadono o hanno persuaso pochi, e io li ho trattati con la libertá consentita; ma dove per cambiare fosse da ricorrere a ragioni troppo sottili, con risultati troppo opinabili, mi son guardato dal disfare e rifare, come quel restautore che rivoltasse le pietruzze quadre e unicolore del mosaico, senza effetti pittorici e col rischio della stabilitá. Chiarirá il confronto; ma qui lo ristringo a tre esempi di altrettante specie. Purg., XXXI, 96: accetto scola, convenendo che nei codici stola (che non avrebbe senso) e spola (che avrebbe lo stesso senso di navicella) risalgono a quella forma grafica primitiva. Purg., XXXII, 123 «quanto sofferser l'ossa senza polpe»: discordo e mi tengo ai manoscritti che hanno il sing. sofferse. È una costruzione a senso, parallela a «ma vergogna mi fe’ le sue [di Virgilio] mi-

  1. Come ne porta ben poche l’edizione della Societá dantesca; intorno alle quali novitá è detto giustamente a p. xxvi: «Che se il testo che ora si pubblica, per la vera e propria lezione non differisce gran che da quello che si può dire il testo vulgato, ha su quello il grande vantaggio di essere stato tutto direttamente cavato e riscontrato su testimonianze... Molti e molti de’ luoghi che appaiono, dirò cosí, intatti, sono costati fatica non minore di quelli dove vi troveranno mutazioni».