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bile ritrovamento degli ultimi tredici canti: «... e trovarono una stuoia al muro confitta... la quale leggiermente in alto levata, vidon nel muro una finestretta... e in quella trovaron piú scritte, tutte per l’umiditá del muro muffate e vicino al corrompersi se guari piú state vi fossero; e quelle pianamente della muffa purgate, vider segnate per numeri, e conobbero... esser de’ rittimi della Commedia: per che, secondo l’ordine dei numeri continuatele insieme, li tredici canti, che alla Commedia mancavano, ritrovâr tutti. Per la qual cosa lietissimi quelli riscrissono e, secondo l’usanza dell’autore, prima gli mandarono a messer Cane, e poi alla imperfetta opera gli ricongiunsono, come si convenia; e in cotal maniera l’opera, in molti anni compilata, si vide finita»1.

Ma per poco di veritá che resti a questo immaginoso racconto, non pare che si possa rifiutarne la conferma che Dante non lasciò di sua mano una copia integra e ben curata, per la parte materiale, anzi tale che non poté durare né circolare. E a questa conferma s’associa l’altra che le prime copie si divulgarono per opera dei figli, Iacopo e Pietro, e di quel gruppetto di amici e discepoli, che vivo il Poeta era stato formato da Piero Giardini e Menghino Mezzani, emiliani, Dino Perini, fuoruscito fiorentino, Fiducio dei Milotti, medico da Certaldo e pochi altri: circolo che per qualche mese dopo la morte non avrá avuto una fisionomia molto diversa. È probabile che la commozione e l’entusiasmo del momento, per quello che toccava quegli uomini, nonché doveri e impegni di cortigiania verso Can Grande e Guido da Polenta, e il desiderio di rispondere a richieste di amici e ammiratori lontani, li abbia indotti ad affrettare le prime trascrizioni, che dovettero eseguire con l’affetto, ma anche con la confidenza verso cosa familiare (Iacopo chiamò la Commedia sua sorella, con squisita delicatezza). Che se è lecito immaginare (e lo è) che in quest’opera si dessero reciproco aiuto e, poniamo, uno dettasse e altri contemporaneamente trascrivessero, e magari nella dettatura si alternassero fiorentini e emiliani, ecco che si moltiplicano di colpo quei disordini ai quali il metodo critico piú classico cerca di porre rimedio con le sue leggi di probabilitá

  1. Cfr. pp. 97 sg. e 51 sgg. in G. Boccaccio, Il comento alla D. C. e gli altri scritti intorno a Dante, a cura di D. Guerri, Bari, Laterza, 1918, vol. I.