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464 la divina commedia

     E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei preghi
30ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
     perché tu ogni nube li disleghi
di sua mortalitá co’ preghi tuoi,
33sí che ’l sommo piacer li si dispieghi.
     Ancor ti priego, regina che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
36dopo tanto veder, li affetti suoi.
     Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
39per li miei preghi ti chiudon le mani!»
     Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
42quanto i devoti preghi le son grati;
     indi a l’eterno lume si drizzaro,
nel qual non si dée creder che s’invii
45per creatura l’occhio tanto chiaro.
     E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, sí com’io dovea,
48l’ardor del desiderio in me finii.
     Bernardo m’accennava, e sorridea
perch’io guardassi suso; ma io era
51giá per me stesso tal qual ei volea:
     ché la mia vista, venendo sincera,
e piú e piú intrava per lo raggio
54de l’alta luce che da sé è vera.
     Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar nostro, ch’a tal vista cede,
57e cede la memoria a tanto oltraggio.
     Qual è colui che somniando vede,
che dopo il sogno la passione impressa
60rimane, e l’altro a la mente non riede,
     cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, ed ancor mi distilla
63nel core il dolce che nacque da essa.